Simbolismi e sistema dei segni  

di : Giovanni Greco

Nella Pittura di Roberto Giusti      

Roberto Giusti è un amato figlio della dolce e cara terra di Pitigliano, nel cuore della Maremma, e da ragazzo comincia a dipingere vicoli e scorci della sua patria, e poi oggi si diffonde su sfondi che propongono una natura serena che sa sprigionare la sua radiosa bellezza e su opere dalla complessa interpretazione. Mi sembra quasi come se il suo lavoro artistico possa essere figlio … di un imprevisto, di una speciale contingenza della sua vita, del resto sappiamo bene che un imprevisto conquista spesso un’innovazione (G. Casa), offrendo nuove occasioni e garantendo prospettive diverse agli individui. Del resto il mondo cambia più velocemente della nostra intelligenza del mondo. Le sue opere mi appaiono inclusive, capaci di accogliere e di … “educare”, una sorta di educazione alla legalità e ai valori profondi della vita, e ciò che si mostra con piena evidenza è la ricerca, è la sperimentazione, attraverso l’uso di colori caldi e carichi di senso, col sapore della terra e del mare, quasi come se si trattasse di un malato che cura se stesso con gli strumenti che possiede, utilizzando anche notevoli dosi di ironia che rappresenta spesso la liberazione dal sapere fittizio. L’obiettivo umano dipinto da Giusti è una persona che guarda le cose e gli esseri viventi all’altezza degli occhi, né da sotto né da sopra, e, mediante i protagonisti dei suoi quadri, cerca di conquistare un suo posto nell’anima della gente. In realtà attraverso il sistema dei segni, Giusti opera una eccellente difesa dell’umano, della natura umana, possedendo i sistemi dei segni una supremazia del disegno nella fattispecie, e della scrittura in generale, sull’oralità, e quindi una cospicua dose di immortalità. Non casualmente si scrive e si dipinge con la speranza dell’eternità, non certo per il dopodomani. Credo che la città di Bologna, con le sue amicizie e le esperienze che lo hanno ispirato, incida fortemente sulla sua vena pittorica: “Bologna città rossa e vicecapitale del Papato, massonica e curiale, borghese e comunista, con un consociativismo interpretato per pura apertura di spirito” (M. Serra). La pittura di Roberto Giusti è suggestiva e brillante, lineare e profonda insieme, ricca di spunti e d’intuizioni, e anche allo stesso tempo, un vero e proprio sistema di segni ricco di simbolismi che naturalmente vanno interpretati. Del resto l’artista sa bene che i simboli nascono dal bisogno di reagire alla schiavitù delle parole e sono concepiti per superare la mediazione del linguaggio. Il mondo ha bisogno di simboli per cercare il filo conduttore del labirinto umano, ma i simboli da soli non bastano, perché oggi sempre più c’è bisogno della realtà che essi simbolizzano. Dall’altra parte il mare, l’acqua, fonte della vita, simbolo di purezza e di purificazione. E la vista dell’acqua e del mare disegnato da Giusti placa e guarisce e la contemplazione dell’acqua, l’odore del mare e della pioggia fanno respirare a pieni polmoni l’aria della speranza e di un futuro meno iniquo. Anche gli animali dipinti ed evocati offrono molteplici spunti di riflessione: il gallo, strettamente legato al sole di cui annunzia il sorgere, simbolo della rinascita, svolge la funzione di sorveglianza scacciando, secondo la tradizione mitologica, gli spiriti del male; la civetta, animale caro ad Atena, indica la saggezza e la comprensione, ma è del pari portatrice del sonno della notte e della morte; la tartaruga simbolo della protezione da ogni attacco esterno, è uno degli animali sacri e personifica l’acqua, l’inverno, simboleggiando la fertilità e la vitalità, e per la sua particolare longevità, l’ordine immutabile e la necessità di essere calmi e riflessivi. E poi i libri, libri antichi, che secondo le stesse parole di Giusti sono “tutt’altro che logori, appoggiati fra loro in delicato equilibrio, un filo a piombo verticale li sostiene, la corda è tesa ma non ancorata, non se ne vede l’origine. Il cielo indaco, carico di bianche nuvole, fa da sfondo, non c’è il paesaggio, in alto dove l’aria è pura, si percepisce l’assenza di rumore”… Ma è, a mio avviso, soprattutto nel dipinto relativo al labirinto che si coglie molto dello spirito e dell’operato di questo artista. La metafora del labirinto è immaginata per indagare la capacità dell’uomo di controllare il proprio destino, senza la certezza di trovare l’uscita che si avvicina e si allontana, per ritornare e per sparire di nuovo. Nel labirinto l’ansia e l’incertezza si fanno sempre più pesanti, si ansima in silenzio, mentre il cuore percuote la gola, si cerca febbrilmente avanti e indietro, si inizia a temere di perdersi per sempre, ci si addolora per il proprio amaro destino, si vorrebbe gridare, si vorrebbe invocare, ma le parole rimangono inerti, sulle labbra, vuote, cadaveriche. Ma poi quando una sorda disperazione ha preso corpo, una luce illumina e riscalda il cuore, il volto si rianima, non si balbetta più, ritornano i buoni propositi, si giura a se stessi che si sarà migliori, si riprende ad articolare la parola. Il labirinto perciò, e tutta la sua pittura in generale, per Roberto Giusti, è mettersi alla prova, è recuperare frammenti di vita, è una gestazione introspettiva, è una gravidanza spirituale per puntare al futuro con cuore antico. Buon viaggio, caro amico, e buona fortuna

Fra l'occhio e la mano

di : Giovanni Casa

La pittura di Roberto Giusti

Mentre le tecniche di riproduzione delle immagini sconvolgono la pittura e, in un clima alessandrino da basso impero, la relegano nella nostalgia dei musei, lo sguardo sull’arte moderna diventa sempre più incerto. Si moltiplicano maldestri i tentativi di stupire: con le infinite variazioni sull’invisibile della pittura astratta, con le illusioni del fotorealismo, con il gesto della body art, con lo scritto del concettuale. In questi giochi linguistici che, in modo insipido o vistoso, aspirano alla pura essenza o alla verità, ogni estetica diventa un’ermeneutica. E sono i critici e i mercanti che spesso fanno i quadri. Al di fuori delle mode e del mercato, l’arte di Roberto Giusti è ancora quella antica: sa di trementina e insegue l’ombra e la luce con mille velature; stabilisce rapporti di corrispondenza visiva e salda nell’attualità della percezione e della riflessione ciò che si è acquisito. Per contro, la peculiare attualità di questa scelta iconica sta nell’indicare “l’oltre”: non celebra l’assenza, ma uno stare insieme, che solleva la soggettività a una comunanza quasi sacrale. Ruotato l’asse della trascendenza di novanta gradi, lungo l’orizzontale che unisce il cielo al mare e alla terra, il pittore inscrive le sue figure alla ricerca della parola perduta e fornisce loro una polisemia che alimenta e impegna l’attività dell’occhio e della mente: il libro e il filo a piombo; la corda tesa e la fanciulla; la valigia e l’ex-voto; la mantide, il gallo e l’uovo. Queste metafore oculari, non descrittive, alludono alla mutevole e fluttuante labilità delle relazioni tra gli oggetti e operano connessioni tra ciò che fu scisso: in un “processo” ove ogni elemento non è mai puro perché ha vita e significato solo rispetto a un altro elemento. Tra l’occhio e la mano si configura uno sguardo cosmopolita che, con volontà d’ibridazione, occupa lo spazio mediano che separa e, in uno sforzo di conciliazione, sviluppa la ricchezza degli spazi interstiziali. Perché non siamo esseri pensanti per il solo fatto di aprire gli occhi.


di : Marco Veglia

Quando trionfa l’inverno della cultura, per dirla con Jean Clair, non resta che ritornare alle cose “permanenti e fondamentali”. La pittura di Roberto Giusti decostruisce il linguaggio figurativo odierno e, attraverso recuperi illuminanti e scansioni simboliche che hanno la grazia dei fatti naturali, ci riporta in un universo che, se non ordinato, dell’ordine almeno non ha smarrito la speranza e la sapienza costruttiva. Se, del resto, il rischio delle immagini, nelle dinamiche del mondo attuale, è quello di un loro dominio esclusivo, che non lascia cittadinanza alcuna alla ragione critica, quest’avventura pericolosa, questa fascinazione di Medusa, è fugata dalla presenza, sulla tela di Giusti, del segno, del dato, del simbolo, e, insieme, dello sguardo che tutti li raccorda e, raccordandoli, conferisce loro una nuova prospettiva. Poiché tutto è, nel villaggio globale, figura e iconicità, occorre una pittura che sappia astrarre non dalla realtà, ma dalla propria tentazione di esaurirne o di eluderne la complessità. Per questa via, l’opera figurativa di Roberto Giusti, mentre rivendica uno sguardo vigile, dove la realtà è indissociabile dall’interpretazione della realtà, mantiene la leggerezza sorridente dell’ironia, la pacatezza cordiale di uno occhio solidale col mondo e col proprio desiderio di comprenderlo. Il gallo, il mare, le figure scomposte o lievi nell’aria tersa, le tartarughe e il pavimento a scacchi, la valigia, i gabbiani in fuga, i libri e i labirinti, ci ricordano che conta forse meno la realtà pulsante, indistinta, caotica e pietrificante, dell’occhio che la vede, la interroga e la possiede. Solo uno sguardo “indiretto”, solo un connubio tra l’occhio e la mano, salva dal veleno di Medusa.


Imbrigliare momentaneamente l'infinito 

di : Antonello De Oto  

La pittura di Roberto Giusti

Nell’accostarsi ad una tela di Roberto Giusti si vive una doppia emozione. La prima, molto tecnica, che a cascata si invera nella seconda, riguarda il piacere del tratto che pervade l’occhio di chi osserva. La seconda, necessariamente figlia della prima emozione, riguarda l’apertura di uno spazio da un punto di osservazione definito. Quasi che la persona abbia l’opportunità di imbrigliare momentaneamente l’infinito, lì di passaggio, “fotografato” dal pittore con la maestria di non chiudere la porta, di lasciare che l’emozione del film-vita sembri ancora scorrere. Ma in realtà non è più così. Oggetti, cose, animali, simboli, troneggiano fermi in primo piano sullo sfondo di un “infinito-finito” che abitano ed interpretano. Lettura meravigliosamente visionaria e al contempo reale, concreta ed esoterica, cosciente di richiamare un mondo antico e perfetto che prepara un futuro deciso a non cedere i suoi capisaldi e a voler comunque vivere i sogni del quotidiano. Roberto Giusti e la sua pittura non hanno bisogno dell’astratto o di tecniche vicine a movimenti di arte contemporanea tanto osannati come quello fluxus di George Maciunas e Yoko Ono o l’abuso della rappresentazione iconografica che ad esempio un Luigi Ontani fa con i suoi “tableaux vivants”. Il simbolo nella pittura ad olio di Giusti è tradizione che guarda ad un infinito fotografato ma mai immobile e perduto nella prospettiva del fermo-immagine. L’emozione che tele come “la Valigia” e “Il Volo” restituiscono nella prospettiva qui tracciata è totale per un viaggiatore dell’anima che voglia recare con sé entrambi gli ingredienti per sopravvivere alla feroce modernità: un pezzo di storia e un lembo di futuro.


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Nitidezza e nettezza , sapienza e libertà 

di : Angelo Biondi 

Nella pittura diI Roberto Giusti

La Mostra di pittura che si tiene a Pitigliano nel mese di agosto 2012 e che si avvia a diventare ormai un tradizionale appuntamento culturale, espone quest’anno opere di Roberto Giusti, proprio l’ideatore e l’animatore dell’avvenimento culturale e colui che ne ha predisposto il luogo adatto nello splendido locale restaurato, già parte dell’antico Ospedale di S.Antonio, in via Zuccarelli Al primo sguardo le opere di Roberto Giusti fanno venire in mente due coppie di parole: Nitidezza e Pulizia, subito dopo Nettezza e Precisione. Sembra che le pitture di Roberto Giusti siano passate attraverso un filtro, che le ha “levigate” tanto da poterle vedere come attraverso un invisibile cristallo estremamente limpido; “quali per vetri trasparenti e tersi…”, come diceva il Sommo Poeta. La nitidezza infatti è il dato, che appare immediatamente nella soluzione tecnica della pittura di Roberto, che abbina colori tenui e leggeri (celeste più che azzurro, grigio chiaro più che scuro ecc.) alla purezza delle linee e dei soggetti; è questa una caratteristica che fa intravedere una pulizia, che non è solo un aspetto formale, ma soprattutto è pulizia interiore, pulizia d’animo, che traspare nei dipinti. Su colori tenui, tra i quali primeggia il celeste del cielo e l’azzurrino del mare, si innestano i soggetti dai contorni netti e precisi, anche quando compare solo un filo o una riga o una linea. Non si tratta di una precisione superficiale o magari pedante, ma di un dato connaturato all’espressione formale. C’è una figura ricorrente che assume la caratteristica di un simbolo: il filo a piombo, che troviamo variamente coniugato con altri attrezzi come la cazzuola, il compasso ecc. , ma anche libri, che sono tomi, cioè libri antichi, simbolicamente depositari di una arcaica sapienza. E’ quella sapienza, che pare sottintesa variamente anche da altre figure simboliche tratte dal mondo animale: la tartaruga, il gabbiano, il gallo, la civetta; ma è una sapienza che resta un’aspirazione, forse irraggiungibile, come pare sottolineare il dipinto “VITA NOVA” con un teschio sopra il libro chiuso, oppure “LA VALIGIA”, dove appunto la valigia da portar dietro non è altro che un grosso tomo su un muro in riva al mare, sul quale spicca il volo uno stormo d’uccelli “com’esuli pensieri” di carducciana memoria. Ma c’è un’altra aspirazione che scaturisce con vivezza dalle opere di Roberto Giusti: l’aspirazione alla libertà, libertà dai vincoli terreni, libertà dalle convenzioni, libertà di “sentirsi libero” su su in alto, come appare nel dipinto “IL SALTO”, in cui una donna nuda nel cielo, sembra voler superare ogni possibile ostacolo nell’atto di saltare senza che vi sia alcun limite né da una parte né dall’altra, o come nell’opera “EQUILIBRIO”, dove l’eterea donna nuda, sempre in cielo, pur senza alcun appoggio, viene “equilibrata” dal filo a piombo, che ricompare qui con questa funzione. Ma anche questa aspirazione alla libertà assoluta è un’illusione, per di più pericolosa: infatti basta “UN ATTIMO” (vedi il dipinto con tale titolo) che il paracadute strappato costringe a precipitare giù, senza speranze, di fronte ad una indifferente spettatrice, che guarda da un’altra parte.


Il viaggio verso l'orizzonte

di : Fabio Pedrotti

Nella pittura di Roberto Giusti

L'arte evocativa che Roberto Giusti ci propone irradia un senso di forza calma, sostenuta dall'uso costante di simboli che oltrepassano il tempo e l'individuo attraverso i propri valori archetipici. I soggetti interpretati dall'autore si rincorrono sui binari mai abbandonati del simbolismo ed i colori tenui che utilizza lasciano lo spazio necessario agli occhi ed alla mente per la calma contemplazione, condizione indispensabile per l'apertura verso significati alti e metafisici. Le tinte ed i tratti morbidi di Giusti donano infatti la possibilità e la serenità di sguardo necessarie per introiettare le allegorie presentate, lasciandosi dolcemente trasportare dalle correnti del simbolo, vero protagonista delle sue opere. È attraverso un immaginifico sentore di surreale che vengono qui aperti i nostri sensi, non più imbrigliati da iperrealismi che rischiano di chiudere la nostra percezione sulle cose e sul mondo. Ed è così, sempre con calma, che Roberto Giusti ci apre un luminoso spiraglio sul mondo dei simboli e della metafisica. Nell'opera intitolata LA TARTARUGA la figura dell'animale, emblema per l'appunto della lentezza e del procedere per gradi, viene utilizzata come allegoria dell'unione ermetica fra l'Alto e il Basso, divenendo simbolo dell'Uomo inteso come pontifex: un creatore di ponti che unisce il cielo e la terra, situato a metà strada fra di essi. Il carapace che la sovrasta, rotondo come il cerchio e simbolo di totalità e perfezione, si collega alla terra squadrata del piattone che la sostiene dal basso e, come un uomo ideale che si regge sul solido terreno aspirando alla volta celeste, la tartaruga avanza lentamente lungo la propria via, dove sa con certezza che incontrerà la propria trasformazione. Il tredicesimo Arcano Maggiore dei Tarocchi verso il quale si dirige con incedere graduale è infatti la Morte: antico segno di mutamento e passaggio caro a tutti i saperi iniziatici. Non è dunque una morte sterile quella a cui va incontro: è anzi una promessa di rinascita e trasmutazione. Nell'iconografia marsigliese del tredicesimo Trionfo per ogni testa che viene amputata dalla falce della nera mietitrice rinascono nuove mani e nuovi piedi: dalla morte dei falsi Io rinasce una capacità di azione in rinnovate direzioni, che divengono l'emblema di una trasmutazione alchemica avvenuta. Non è una morte fisica questa, ma interiore. E come l'ammiccante espressione francese petite mort, allude ad un arrivo che è in realtà può sempre essere un inizio. Una piccola morte: un breve senso di disorientamento, le palpebre chiuse per qualche istante e un soffio di quel fuoco bruciante su cui non si può mantenere lo sguardo ci spingono verso l'interno come la tartaruga nel suo carapace: in concentrazione ed isolamento, in un'apparenza di morte e stasi. Ma il vero stallo ed il vero dolore, sono qui già superati: dal momento in cui la testuggine ha spezzato il laccio delle paure e dei preconcetti che la tenevano legata, impedendole ogni forma di movimento ed evoluzione, è divenuta per la prima volta libera, pronta al cambiamento e alla conoscenza di se stessa. E quando infine, dopo i momenti di buio e confusione della prova iniziatica, gli occhi della tartaruga si riapriranno, con uno sguardo rinnovato si potrà rendere conto che esiste una direzione dello spazio che non aveva mai concepito prima. Sarà allora, quando girerà il proprio collo verso quell'orizzonte che si allontana ad ogni tentativo di avvicinamento, che potrà intuire la propria forma immortale, scolpita nella vera terra e spalancata verso il vero cielo: un'isola immota che dall'oceano indifferenziato ha osservato il processo del suo stesso divenire sin dai primi attimi, senza giudizio e con quella pace che solo l'assenza di tempo può consentire. Questi cieli e questi oceani, questi orizzonti sempre presenti nelle opere di Roberto Giusti ci rimandano proprio ad un senso di sospensione e di apertura verso lo sconfinato, l'irraggiungibile. Al loro interno la luce è onnipresente, ma il sole rimane sempre al di fuori della cornice visiva: si intuisce, sappiamo che esiste e che ci nutre del suo chiarore, ma non è manifesto e rimane così sempre estraneo alla nostra intelligenza razionale. Attraverso questo anelito al metafisico, all'immateriale e al simbolo la pittura di Roberto Giusti diviene dunque metafora di un eterno e luminoso viaggio verso l'orizzonte: un percorso privo di una vera fine e di un inizio, ove ogni morte è solo una trasformazione e lungo il quale ci lasciamo volentieri condurre dalla mano dell'artista, dalla sua naturale calma e serenità dell'animo.


Pitigliano
"la piccola Gerusalemme" 


terra della libertà e dell’accoglienza

recensione di Pupa Garibba



Quando ho avuto in mano il libro di Roberto Giusti e Giovanni Greco, già a partire dalla copertina ho pensato che mai titolo poteva essere più azzeccato. Nella fotografia come nella realtà Pitigliano, che è chiamata la “Piccola Gerusalemme”, appare simile ad una visione, proprio come Yerushalaim: quando, bellissime, le due città iniziano a stagliarsi in lontananza, il visitatore percepisce che il viaggio in salita necessario per raggiungerle non è soltanto dovuto al fatto che esse sono state costruite su colline, ma perché entrambe – ciascuna a modo suo - si elevano spiritualmente. Se Yerushalaim è la città più sacra dell’ebraismo, Pitigliano-Piccola Gerusalemme è “terra della libertà e dell’accoglienza” per aver ospitato,ovanni in aggiunta ad un piccolo gruppo preesistente a partire dal ‘400, gruppi sempre più consistenti di ebrei nel momento in cui iniziò la triste era dei ghetti con le bolle antiebraiche di papa Paolo IV Carafa. L’atteggiamento liberale degli Orsini nella Contea di Pitigliano, condiviso anche da altri piccoli stati semi-indipendenti situati tra Toscana e Stato della Chiesa, permise agli ebrei di ottenere e mantenere condizioni che altrove non erano più consentite: dal libero esercizio delle loro pratiche religiose alla dispensa dell’obbligo di portare il segno distintivo; dalla apertura di numerosi banchi di prestito essenziali in ambienti rurali alla incondizionata differenziazione delle attività lavorative; dal possesso di case, di terre e di un cimitero con le particolari tombe a loculi scavate nel tufo alla possibilità di risiedere nei centri abitati senza alcuna separazione, quando i loro confratelli rinchiusi “nei serragli degli ebrei” erano condannati ad una miserrima esistenza, che a Roma durò più di trecento anni. Gli ebrei stabiliti nella “Piccola Gerusalemme” fecero in tempo a costruire, nel 1598, la loro bella sinagoga ad opera di Leone di Sabato di mestiere tessitore, e a fondare una scuola prima che nel 1604 avvenisse il passaggio della Contea dagli Orsini ai Medici. All’inizio la nuova signoria non fu tenera con la comunità locale, costretta a risiedere in un ghetto e a portare il segno distintivo imposto o tolto a seconda delle circostanze. In seguito, però, l’amministrazione granducale - per non perdere fruttuosi contatti commerciali con Livorno divenuto intanto porto franco - attenuò le restrizioni attraverso un’ampia concessione di privilegi personali.. Questo nuovo atteggiamento agevolò l’incremento della presenza ebraica, favorito dall’arrivo a Pitigliano di membri delle piccole comunità locali che si erano estinte e di flussi di ebrei senesi, fiorentini e di varie parti dello Stato Pontificio. La convivenza tra ebrei e cristiani continuò tra alti e bassi, ma senza grosse scosse e; quando la Toscana passò ai Lorena, la comunità di Pitigliano si avviò a raggiungere la sua massima prosperità, che coincise con l’ingresso di ebrei nel consiglio comunale. La totale parità dei diritti, raggiunta nel 1859, fu festeggiata con l’apposizione ai nuovi nati di nomi quali Garibaldi, Mazzini, Azeglio al posto o in aggiunta ai tradizionali nomi ebraici; la comunità locale ormai aveva raggiunto il 12-13% della popolazione complessiva. Poi giunse il declino, della comunità ebraica ma non solo, con il trasferimento verso città più grandi di molti cittadini di Pitigliano, che però non persero mai il contatto con le loro radici. E’ bello e importante che questa storia sia stata ripresa e raccontata nel libro Pitigliano “La Piccola Gerusalemme”, terra della libertà e dell’accoglienza a cura di Roberto Giusti e Giovanni Greco; libro che opportunamente raccoglie gli interventi del grande convegno tenuto nel maggio del 2009 nell’auditorium della Banca Credito Cooperativo, con il patrocinio della Provincia e del Comune di Pitigliano e sotto gli auspici del Grande Oriente d’Italia, che in questo modo ha voluto rinverdire i forti rapporti stretti con gli ebrei durante il Risorgimento. E’ bello e importante che l’idea di contribuire allo sviluppo della “Piccola Gerusalemme” come centro culturale sia nato dall’incontro di due amici come l’ex sindaco Augusto Brozzi e Roberto Giusti il quale, anche se vive lontano, ha sempre Pitigliano nel cuore. Proprio nella parte più profonda del cuore, al pari delle famiglie Servi, Paggi, Bemborad, Sadun, Colombo le quali, pure sparse in tutta l’Italia e bene integrate in altre comunità, continuano ad essere molto fiere della loro provenienza.